Archivio mensile:dicembre 2011

HINDUSTAN ZINDABAD!!!

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Lunga vita all’India! E’ questo l’inno da stadio che si canta a gran voce durante la spettacolare cerimonia di chiusura del confine indo-pakistano e che vede ogni giorno al tramonto orde di turisti ed appassionati che affollano gli spalti per godersi lo spettacolo come una vera partita di calcio!

Noi chiaramente ci siamo goduti entrambi gli spettacoli, passando una notte proprio in quel confine che è stato uno dei più caldi dal dopoguerra ad oggi e che è l’unico passaggio possibile per l’attraversamento via terra tra Pakistan e India, sempre in balia degli eventi.

Ancora increduli e divertiti per la cerimonia, ci muoviamo verso Amristar, a 20 km circa, la città sacra dei Sikh famosa per il suo Golden Temple, la cui cupola si dice che sia stata realizzata con 700 kg di oro puro

e per essere stata teatro di incredibili massacri – come quello avvenuto nel 1919 nel quartiere di Jallianawalla Bagh per mano del generale inglese Dreyer, che ordinò di aprire il fuoco durante una manifestazione di protesta uccidendo circa 1500 indiani tra cui donne e bambini.

I Sikh seguono una religione che prende elementi sia dall’Hinduismo che dall’Islam; sono monoteisti e credono nella reincarnazione, sono vegetariani e non accettano la divisione sociale in caste. Hanno un aspetto decisamente fiero e benestante e si riconoscono dal turbante a punta che serve a nascondere i lunghi capelli che non vengono mai tagliati dalla nascita, così come la barba. Nel tempio tutti sono ben accetti e noi lo abbiamo vissuto nella sua totalità, dormendo nella stanza destinata ai forestieri e cenando a terra, nelle grandi stanze assieme a centinaia di persone di ogni ceto sociale, grazie al lavoro di gruppi di volontari che si adoperano 24 re su 24 per preparare cibo, lavare le stoviglie e tenere pulito il tempio. Questo luogo è come un rifugio dove tutti possono trovare un posto per dormire ed un piatto di dhal caldo con chapati, perché qui tutti sono uguali, qui non ci sono distinzioni.

Camminare a piedi nudi sul gelido marmo bianco non ha certo aiutato il nostro raffreddore, ma lo spettacolo che il Golden Temple offre mozzerebbe il fiato a chiunque, regalandoci una due giorni estremamente affascinante.

Dal luogo sacro per eccellenza ci muoviamo verso la città- esperimento di Chandigarh, figlia di un progetto dell’eclettico architetto svizzero Le Corbusier, che divide da sempre l’ opinione pubblica. Il primo premier dell’India indipendente, Jawaharlal Neru, voleva che la nuova capitale del Punjab e dell’Haryana dopo l’indipendenza rappresentasse un progetto moderno, ”come espressione della fede della nazione nel futuro”. E chi meglio del grande Le Corbusier, maesto del Movimento Moderno e dell’Urbanistica Contemporanea?

                                        Il premier Neru e Le Corbusier

La città di Chandigarh, con i suoi viali alberati e la sua divisione in sectors , con i suoi parchi, i numerosi parcheggi e le bellissime residenze basse tutte con giardino, rappresenta e fonde insieme tutti i suoi studi sulla città a misura d’uomo e le novità sul cemento di cui fu pioniere. Decisamente un’ India molto soft, ordinata e pulita, ma che a ben vedere non nasconde tratti di inconfondibile indianità, come qualche carretto con asino che blocca il traffico nelle rotatorie, i continui clacson spacca timpani, una donna che prepara strane polpette marroni lungo la strada ( e che non sono certamente di farina!!!)!

Un bell’esperimento comunque, come ci conferma il mitico Narinder, un Sikh che ha visto tutta l’evoluzione della sua città e, ora che è in pensione, si gode i turisti donando loro la sua conoscenza, secondo la filosofia dell’Open Hand (anche il simbolo della città). 

Noi lo abbiamo incontrato all’uscita dello straordinario Rock Garden, che si dice sia il sito turistico più visitato di tutta l’India dopo Il Taj Mahal, un originale giardino nato dalla fantasia dell’artista Nek Chand e realizzato con un’infinità di materiali riciclati, che si snoda in un dedalo di viuzze originali e sorprendenti dove ci si aspetterebbe di incontrare il Bianconiglio da un momento all’altro!  Il giardino rappresenta oggi uno dei più significativi progetti di riciclaggio di tutta l’Asia.

A Chandigarh festeggiamo i nostri 10.000 km e regaliamo alla Landy un carissimo ricambio d’olio, un nuovo filtro ed una bella lavata!

Pakistan, ci siamo!

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Siamo arrivati nella terra che spaventa……e che terrorizza soprattutto mia madre!

Il Pakistan è stato territorio indiano fino al 1947, quando fu stupidamente deciso da parte del vicerè inglese, di separare le regioni a maggioranza musulmana come Pakistan e Bangladesh, dall’India hinduista. Questo taglio netto, che divise in due il Punjab e mutilò l’India, provocò la morte di migliaia di persone nell’esodo più tragico che il secolo scorso possa ricordare. La famosa Partition, alla quale si opporrà fermamente Gandhi, si rivelerà una soluzione azzardata ed inutile perché fu causa di scontri e tensioni ancora vive e che non ha risolto il problema della separazione religiosa dato che l’India, con il suo politeismo hinduista, resta uno degli stati con più musulmani entro i suoi confini. Il Pakistan ed Il Bangladesh sono oggi tra i paesi più poveri del mondo!

Dopo la nostra lunga avventura off road, decidiamo di fermarci a Quetta un paio di giorni per riposarci e per fare un check up ai vari mezzi! Dimenticati i visi sorridenti ed i saluti delle persone che ci hanno accompagnato fino a lì, siamo accolti con sguardi decisamente sospettosi! Quetta è la capitale del Balochistan ed è l’unica città di una certa consistenza per centinaia di chilometri verso ogni direzione, praticamente una sosta obbligata per chi transita con un proprio mezzo! Non ha niente di interessante per quel poco che siamo riusciti a vedere, dato che è considerata una delle città più pericolose del Pakistan, in mano ai talebani e per questo è altamente sconsigliato ai turisti gironzolare liberamente, soprattutto dopo il tramonto! Ma i ragazzi si sono concessi uno shopping su misura, la Shalwar kameez, un abito tradizionale maschile molto comodo e che tutti i pakistani indossano.

Tanta polvere, tanto traffico e di conseguenza tanto smog. L’unica elemento affascinante e curioso al momento sono i camion, minuziosamente decorati in ogni centimetro quadrato

ed un uso esagerato di hennè che ricopre di rosso capelli degli uomini, nonchè le criniere dei poveri asinelli!

Ricaricate le pile ripartiamo tutti per Sukkur, una deviazione obbligata verso sud, nel Sind, visto che la via più breve per raggiungere Multan è zona altamente proibita ( anche prima che venissero rapiti i due svizzeri questa estate…e se era proibita, mi chiedo, perché andarci? senza scorta poi!!!)

Non appena la scorta ci ha lasciati ( ma forse si era fermata solo per cambiare auto, ancora non ci è ben chiaro come li abbiamo persi!) siamo partiti in quarta fermandoci solo ad un altro check point,  per proseguire di filata fino a Sukkur, attraverso una serie di villaggi che portano ancora i segni delle continue alluvioni  estive, causa ogni anno di grandi tragedie e conseguente povertà, ben visibile nelle lunghe distese di tendopoli!

Solita storia, per coprire 400/500 km sono necessarie 8/9/10 ore di viaggio, su strade dissestate e piene di tutto, dai carretti trascinati dagli asini alle bici, dai motorini ai camion, da ogni tipo di animale ai pedoni, per non parlare degli odiati speed-breakers (i nostri dossi, ma con i quali non hanno niente a che vedere!), che oltre a rompere la velocità causano gravi danni alle auto!

Dopo due giorni altrettanto lunghi e  faticosi raggiungiamo Lahore il 13 dicembre e ci commuoviamo vedendo finalmente una città: indicazioni stradali, viali, semafori, parchi, ma sempre un caos convulso e sregolato sulle strade! Ci meritiamo decisamente una pausa e goderci quello che la prima vera City pakistana che possiamo viverci ci offre! L’ostello scelto (Regale Internet Inn) è stato decisamente un ottimo affare ed il proprietario, Malik, un personaggio interessante, molto noto anche per essere una sorta di talent scout per molti musicisti,  che si esibiscono spesso anche sul tetto dell’ostello, come è capitato al nostro arrivo. Il Qawali è una forma tradizionale di musica islamica  inestricabilmente legata alla tradizione sufi, la parte più mistica dell’ islam, che si sforza di raggiungere Dio attraverso l’esperienza personale; con la musica e trascinati dalle note e dai poemi cantati, i fedeli danzano e girano cadendo in una sorta di trance.  Essere invitati in una moschea e vedere con i propri occhi questo rituale non ha prezzo, soprattutto quando ci sono anche tanti ragazzi e bambini che partecipano coinvolti!

Una full immersion decisamente spirituale e necessaria, dato che questa sosta a Lahore ci sta togliendo almeno vent’anni di vita: 10 per lo smog infernale che si respira ad ogni uscita, immersi nella fitta nebbia dell’ inquinamento e altri 10 per ogni volta che dobbiamo muoverci con i famigerati ri(S)ckshaw!

Inshallah!!!

Il nostro Balochistan

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11 dic


Il 7 dicembre siamo partiti tutti insieme all’alba carichissimi, con l’intenzione di passare il confine e sostare a Taftan, la prima “città” pakistana, per affrontare poi il giorno successivo i 650 km del deserto del Balochistan che ci separavano da Quetta.

Ma tutti i nostri programmi, studiati con cura la sera prima, si sono infranti a 200 km dal confine, quando la polizia ci ha fermati, sequestrato i nostri 8 passaporti e procurato la famosa scorta (escort in inglese, ma niente a che vedere con le + famose amichette del Berlu!). Quei 200 km si sono trasformati in un’odissea di 7 ore, scortati da un posto di blocco ad un altro per lasciare le nostre generalità a tutto l’esercito di confine iraniano. La lunga ed estenuante giornata si è conclusa a Mirjaveh, l’ultima città di frontiera!

Decisamente avviliti e sfiniti, abbiamo capito che eravamo in balia delle loro decisioni.
Il giorno seguente ripartiamo nuovamente, speranzosi di raggiungere Quetta almeno in serata, ma le pratiche al confine si sono trascinate all’infinito, tra attese, timbri, sorrisi e curiosità!


L’ingresso in Pakistan è stato a dir poco polveroso, un mondo completamente diverso ci aspettava, fatto di fango e polvere, già in odore di India. Cambiamo senso di marcia (che poi si rivelerà una futilità!), cambiamo le nostre rupie in rials e mandiamo ancora avanti e lancette dell’orologio e finalmente dopo 4 ore ripartiamo con una nuova scorta pakistana

ma le continue soste ai check point per lasciare i nostri dati e scambiare chiacchere con le guardie ci fanno sorgere il dubbio che non avremmo raggiunto la meta nemmeno questa volta!

E infatti, quando le ombre della sera hanno comnciato ad allungarsi, veniamo scortati nel villaggio di Nikkundi e portati alla stazione di polizia (eufemismo chiaramente!) dove abbiamo dormito tutti insieme in una grande stanza della “guesthouse” con mezzo esercito nei paraggi!

La mattina seguente, dopo 2 giorni decisamente difficili, senza più esitazioni ed accelerando ad ogni check point arriviamo finalmente a Quetta, dopo 13 ore di strada incredibile, con il buio che aveva stancato gli occhi di tutti.

Questo è il nostro viaggio attraverso il Baluchistan: