30 nov
Lasciata l’affascinante Kashan e la bellissima casa tradizionale che ci ha ospitati per due giorni, puntiamo in direzione di Esfahan, percorrendo i 400 km sulla bellissima autostrada dal manto immacolato, con un occhio sempre vigile sulla maleducata guida degli autisti iraniani!
Esfahan è il capolavoro dell’Iran…e ce ne siamo accorti subito percorrendo Chahar Bagh, il lunghissimo viale aberato pieno di vita che taglia in due la città. Negozietti ovunque, banche, ristoranti ed un formicolio di persone che si muove rapido, rendono viva questa città, un gioiello di raffinatezza.
Isfahan neft-e jahan’ (Isfahan è la metà del mondo) scrisse un poeta nel 500, sottolineandone tutta la maestosità, evidente soprattutto in Imam square (Naqsh-e Jahan che significa “modello del mondo”) la piazza più bella dell’Iran, dove lo scià Abbas il Grande volle riunire le magnificenze dell’impero safavide.
E’ bastato chiedere un’informazione a tre ragazze per trasformare la nostra sosta di un paio di giorni in una quattro giorni veramente interessante…ed internazionale! Felicissime di praticare un pò di inglese, per di più molto buono, ci guidano per la piazza facendoci mille domande sulla vita in Italia e spiegandoci la storia delle due moschee e del palazzo Ali Qapu. Con la loro spigliatezza e curiosità uniscono al nostro gruppetto anche Jaque, un ragazzo malese che in solitaria si aggirava per la piazza con la sua super macchina fotografica, e tutti insieme decidiamo di prendere un autobus per raggiungere i famosi ponti del fiume Zayandeh. L’autobus è stata l’esperienza più strana in assoluto…zone separate per uomini e donne, non ci potevo credere, come nell’America razzista degli anni 30!
Superato questo shock ci siamo rilassati sulla riva del fiume, dove le famiglie si riposano per un pic nic e le coppiette trovano un posticino appartato per……..tenersi la mano!
Come da tradizionale accoglienza iraniana le ragazze ci portano anche una merenda a base di nun (il loro pane molto simile alla nostra piadina) e una morbida insalata di ceci e yogurt, una delizia!
Lì incontriamo anche una coppia conosciuta da loro in precedenza, Regi e Viky (lui belga lei di Hong Kong) che sta viaggiando in bicicletta e si uniscono a noi per un chay in compagnia nella tradizionale teahouse sul ponte Si-o Seh (famoso per i suoi 30 archi!).
La cosa incredibile è che in Iran non si riesce a non conoscere gente, ce l’hanno nel sangue l’accoglienza, quindi per l’indomani abbiamo avuto un invito a pranzo tutti insieme a casa di Mike, un ragazzo iraniano che però vive a New York (strano connubio!) e che si trovava lì per il mese del Muharram ( il mese del lutto per l’Imam Hossein, l’Ashura per i Pakistani).
E’ così che funziona qui, ci si lascia trasportare dalle cose ed è così che è andata per i restanti giorni della nostra permanenza ad Esfahan (ho fatto anche da psicologa ad una ragazza in crisi amorosa, mentre Roberto era stato letteralmente “rapito” da suo marito e portato alla cerimonia del Muharram…..in bicicletta!).
That’s Iran!